Quante volte abbiamo ostinatamente e ardentemente voluto qualcosa, e magari brigato e messo in moto cielo e terra per realizzarlo, e alla fine ci siamo accorti non solo e non tanto che non ne valeva la pena, ma soprattutto che non era affatto a nostro beneficio, e addirittura sarebbe stato meglio se il contrario si fosse verificato?
Basta pensare, del resto, alla eterogenesi dei fini, ovvero le conseguenze non intenzionali di azioni intenzionali, di cui gli esempi piu' macroscopici sono gli effetti collaterali dei farmaci e le leggi dello stato.
Tutto questo ci dice che spesso non siamo in grado di prevedere, capire e valutare le conseguenze a medio e lungo termine di azioni o avvenimenti, in poche parole non vediamo piu' in la' del nostro naso.
Questa e' non la sola ma una delle ragioni fondamentali per cui qualunque sistema etico consequenzialista, cioe' per il quale ogni scelta di un agente morale deve essere guidata dalla valutazione delle conseguenze che deriveranno da ciascuna alternativa che si pone, puo' solo fallire.
Abbiamo molti esempi di grande portata storica di questa disastrosa, catastrofica incapacita' di previsione delle conseguenze fino al rovesciamento totale degli intenti.
Un esempio e' dato - non intenzionalmente, e' ovvio - proprio da un filosofo che e' rappresentante di una scuola di pensiero consequenzialista, l'utilitarismo, di cui parleremo piu' sotto: l'australiano contemporaneo Peter Singer. Nel suo libro One World pubblicato nel 2002, Singer difende a spada tratta l'immigrazione di massa dai Paesi del Terzo Mondo a quelli del Primo, sostenendo su base utilitaristica che, mentre gli eventuali inconvenienti, se mai ce ne sono, per i popoli di questi ultimi sono lievi, essi non sono niente a confronto del bene che l'immigrazione in nazioni ricche arreca ai poveri del mondo (Singer, un ebreo etnico, andrebbe perfettamente d'accordo con Papa Francesco). Il professore di Princeton arriva (o arrivava, nel 2002) a dire che i Paesi europei e l'America del Nord dovrebbero aumentare moltissimo il numero degli immigrati che accolgono.
Col senno di poi, di cui son piene le fosse, non so se Peter abbia cambiato idea. So pero' che gli eventi seguenti gli hanno pienamente dato torto, addirittura anche se si rimane nel suo punto di vista. Infatti, il tipo di immigrazione da regioni povere a regioni ricche che lui auspicava ha avuto - e sta continuando ad avere su scala sempre maggiore - la conseguenza di diffondere l'islam nel mondo occidentale, una volta cristiano e conservante ancora alcune tracce delle virtu' e atteggiamenti derivanti dal cristianesimo, tra cui il fare agli altri quello che vorresti fosse fatto a te stesso.
Una volta che la sostituzione etnica, culturale e religiosa di cristianesimo con islam sara' in buona misura compiuta - non solo per le ragioni puramente demografiche del dislivello riproduttivo fra musulmani e occidentali nativi ma ancor piu' perche' non puo' esistere una societa', specialmente complessa come la nostra, senza religione, sarebbe cioe' destinata al collasso (ma questo e' un discorso per un'altra volta), avverra' da noi quello che sta accadendo nei ricchi Paesi musulmani come l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, che erigono muri e chiudono frontiere ai loro "fratelli" musulmani della Siria.
Ecco cosi' che la raccomandazione pro-immigrazione singeriana, che avrebbe la dichiarata intenzione di aiutare i poveri del mondo, avra' come risultato che i Paesi ricchi in virtu' della loro mutata natura, mutato proprio grazie all'applicazione dei precetti di questo filosofo utilitarista, saranno molto piu' restii ad aiutare i piu' poveri.
Altro clamoroso esempio di miscalculation e' quello di in altro filosofo ebreo ed ateo, Karl Marx.
Tutte o quasi le previsioni che Marx derivo' dalla sua diabolica teoria sono state smentite dal laboratorio gigante della storia, dimostrando che la sua teoria e' si' scientifica, come la chiamo' lui, ma al tempo stesso falsa.
In particolare, Marx pensava che gli unici rapporti che contano, i soli rapporti dinamici, fossero quelli tra uomo e uomo, sociali. L'altro aspetto relazionale dell'economia, cioe' il rapporto fra uomo e natura, il comunista per eccellenza vedeva come attivo solo da parte dell'uomo, e puramente passivo da parte della natura.
A differenza di altre delle sue idee, non si puo' fare a Marx una colpa di aver avuto questa idea. Nell'Ottocento sarebbe stato difficilissimo, anzi impossibile prevedere i disastri ecologici, pensare che l'ambiente avrebbe potuto, per cosi' dire, "ribellarsi". Certi fenomeni dovevano avvenire, eventi verificarsi, idee essere sviluppate e capite prima di poter fare previsioni simili.
Ma questa e' una ennesima dimostrazione della incapacita' di lungimiranza umana.
Infine e brevemente, accenno soltanto - con l'intento di svilupparlo piu' pienamente - alla cosiddetta "liberazione sessuale", quell'orgia di promiscuita' e libertinaggio che ha ingolfato e avvolto in in turbinio l'Occidente almeno a partire dai famigerati anni Sessanta in poi.
E' solo amore, diceva Oscar Wilde. Fate l'amore non la guerra, echeggiavano gli hippies. Chi poteva pensare che dall'"amore" potesse derivare qualcosa di male? Che dall'"amore" potesse derivare il caos?
Ebbene, c'era chi lo aveva capito. E lo aveva capito proprio perche' andava controcorrente, e la sua lungimiranza veniva da lontano, da molto lontano, da un altro mondo.
Sto parlando di Paolo VI e della sua enciclica Humane Vitae, in cui, forse illuminato dallo Spirito Santo e certo sulla base di una dottrina vera - la capacita' predittiva e' il test della verita', riusci' a prevedere, gia' nell'ormai lontano 1968 (ne e' passata di acqua sotto i ponti), quei tanti e gravi mali che abbiamo poi visto.
Prova, nuovamente, che non sono gli uomini da soli, senza aiuto soprannaturale, a vedere lontano.
L'utilitarismo, fondato dal filosofo inglese Jeremy Bentham (1748-1832) (peraltro influenzato dal nostro Cesare Beccaria e dal suo trattato Dei delitti e delle pene), e' una teoria morale consequenzialista di questo tipo.
Per essa la giusta azione morale in ogni circostanza e' quella che si prevedera' risultare nella massima utilita', intesa come il massimo piacere e felicita' per il piu' gran numero di pazienti morali - cioe' tutti coloro su cui ricadranno le conseguenze di tale azione – e il minimo dolore e infelicita' per il minimo numero degli stessi.
Quello che si sente, il sentimento, sia fisico, come sensazione, sia psichico, come emozione, regna supremo.
Del resto che cos'altro ci si poteva aspettare da una filosofia morale atea, che cos'altro puo' essere a fondamento di un sistema etico privatosi di Dio, quale altra base razionale puo' trovare? E' il trionfo del materialismo piu' puro.
Esistono altri sistemi etici senza Dio oltre all'utilitarismo, ma quest'ultimo e' forse quello che rappresenta meglio la posizione atea.
Una volta eretto le sensazioni di piacere a pilastro di tutto il sistema morale, e fornitane una base in qualche modo razionale (il cosiddetto “calcolo" utilitaristico), si e' infiltrata nella cultura europea e, per estensione, occidentale, la ricerca spasmodica, per non dire ossessiva, del piacere stesso, con ogni mezzo: “naturale” – sesso -, artificiale – per via chimica, con droghe, alcool, dolci, eccesso e consumo smodato di cibo -, possesso di ricchezze, potere, beni materiali, ossessione con lo shopping, e via dicendo.